Giorgio Tagliavini, anima Casalese

Zitti tutti, parla il capitano. Perché a Casalmaggiore, alla Casalese, si chiude un’epoca. “Ebbene sì, ho deciso di smettere col calcio giocato: il Covid ha un po’ imposto le tempistiche, avrei preferito un sipario diverso, ma credo di essermi divertito e di questo sono grato a tutto l’ambiente biancoceleste”.

Giorgio Tagliavini, classe 1982, quando il pallone tornerà a rotolare, non sarà più in mezzo al campo – o al centro dello spogliatoio – a guidare i compagni. “A inizio stagione 2019-2020 avevo detto che mi sarei ritirato a fine campionato, poi la sospensione per il Covid a febbraio mi ha convinto ad aspettare ancora un po’, rimandando tutto all’estate 2020. Quando ho visto che la piega degli eventi non andava nella giusta direzione, con le nuove ondate del virus e le nuove sospensioni, ho pensato che era il caso di dire basta per davvero”.

C’è rammarico? “Un po’ sì: mi sarebbe piaciuto giocare l’ultima gara a Casalmaggiore, magari davanti a parenti, amici e davanti al pubblico della Baslenga, che mi ha visto crescere. Invece l’ultima partita l’ho giocata a Sala Baganza e senza che nessuno avesse la consapevolezza della successiva, imminente, sospensione. Avrei voluto una chiusura normale, ma non per me, bensì per dire grazie ai tanti che mi hanno aiutato. Peraltro abbiamo interrotto un campionato nel quale ci stavamo giocando il salto in Promozione. Vuoi mettere che bello lasciare da vincente? Ma va bene così”.

Da dove parte questa epopea? “Era la fine dell’estate 1999 – ricorda Giorgio – ed ero tornato dalle vacanze da due giorni. Un paio di allenamenti con la Juniores, avevo 17 anni, e poi subito mi aggregano in prima squadra. Faccio il mio esordio in Coppa Italia di Serie D, in Crociati Parma-Casalese, a Collecchio. Da allora non mi hanno più tolto dal gruppo della prima squadra. Una stagione sfortunata quella: problemi societari, l’esodo dei big come Cacitti, Cavalletti e non solo, tre diversi allenatori cambiati, da Zanichelli a Vallario. E, dopo un buon girone d’andata chiuso a metà classifica, l’inevitabile retrocessione”.

Esordire così non è facile. “Eppure le difficoltà mi hanno insegnato molto. Anzitutto ero molto giovane, dunque la vivevo diversamente e forse in modo più spensierato rispetto a gente di esperienza: per me era il coronamento di un percorso partito dai Pulcini, peraltro su un campo, l’Icio Ferrari, che si trova dietro casa mia. Quella stagione, per quanto sfortunata, mi ha dato una visione quasi professionistica del calcio: abbiamo giocato a Valenza Po, Meda, Pavia, Pizzighettone, e per me era come entrare a San Siro. Sono tutti campi che, prima o dopo, hanno visto la serie C. Inoltre sin dal primo anno sono stato abituato a gestire e digerire i momenti difficili nello spogliatoio, che in un torneo così tribolato non sono mancati”.

Tanta Casalese e tre anni da “oriundo” a Pomponesco, Colorno e Guastalla. “Ma i ricordi migliori, senza nulla togliere a nessuno, sono in biancoceleste. Quando sono andato via da Casalmaggiore, peraltro, mi ero pure rotto il crociato. Gli anni più belli sono senza dubbio quelli con Franzini: un gruppo fortissimo, solido, capace di affrontare ogni momento buio, due promozioni consecutive, il ritorno in Eccellenza e poi 3 anni di ottimo livello nella regina delle categorie. Il ricordo più bello è il pareggio con la Fidentina che ci diede il salto, per un punto, proprio in Eccellenza. Ma in quel campionato ricordo anche il 5-1 al Salsomaggiore in Baslenga, quando loro arrivavano a punteggio pieno e da lì si sono sgonfiati, e il successo nel derby a Colorno al 93’ con tantissimi tifosi nostri in tribuna. Quello era il Colorno di Chierici e Arcari, allenato da Pompini, uno squadrone: ma noi in quella partita avevamo dimostrato il grande carattere del nostro mister”.

A proposito, è lui l’allenatore al quale sei più legato? “Direi di sì, perché è stato il più vincente e mi ha insegnato tanto a livello caratteriale. Devo tuttavia indicare anche Pellizzoni, col quale il rapporto è più da amico e mentore, perché abbiamo la stessa età: Franzini mi ha allenato quando avevo 24 anni, il “Pelo” invece negli ultimi anni della mia carriera. E ci sono anche tanti compagni: Bernuzzi, Demicheli, Scaravonati, Buoli, e direi tutti quelli della squadra che vinse la Prima e la Promozione, per non fare torto a nessuno. Con tutti siamo rimasti in contatto anche dopo quella splendida epopea sportiva. E la vicinanza d’età, oltre che il calcio, ha aiutato”.

Tra tanti elogi, una critica: si è sempre detto che Giorgio Tagliavini segnava poco. “E’ vero, non sono mai stato un mediano goleador. Ma non ne ho mai fatto una malattia. Ho sempre apprezzato ad esempio il sapore dell’ultimo o del penultimo passaggio, dunque va bene così. Diciamo che però, quando segnavo, spesso erano gol decisivi o pesanti, dunque non posso lamentarmi. Negli ultimi anni, peraltro, con l’età che avanza, ho fatto il vertice basso del centrocampo a tre. E da lì essere pericolosi è difficile”.

Che Casalese lascia Giorgio Tagliavini? “Un gruppo giovane, pulito, con tanta voglia e con ragazzi di Casalmaggiore o del circondario. Un gruppo di amici e questo, per vincere i campionati, serve eccome, fidatevi. “Pelo” è un buon allenatore, ha portato una ventata di novità e, con un gruppo che ormai ha diversi anni alle spalle, può fare il salto. Negli ultimi anni ci siamo andati vicini, centrando spesso i playoff. Certo, la Promozione sarebbe un altro mondo, che richiederebbe investimenti, meglio prepararla bene. Ma mai dire mai”.

Il capitano del futuro? “Adesso giustamente è Bandini, perché da tanti anni è a Casalmaggiore. Per il futuro non saprei e non sta a me scegliere: però ho visto un ragazzo molto bravo, fa il centrocampista ma più sull’esterno ed è bravo a inserirsi e a fare gol. Se devo fare un nome, dico Nicolò Scaglioni”.

Ci rivediamo all’Icio Ferrari? “Ho cambiato casa, ma non mi sono spostato di molto. Se prima ero a 100 metri dal campo, adesso sono 500… Ci vediamo lì, nella mia seconda casa”.

Giovanni Gardani

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