San Carlo: io la fiera da bambino

Io la Fiera da bambino l’aspettavo. Non fosse altro per guardare quei grossi trattori e magari sedermici sopra per sentirmi più grande. Non fosse altro che per quel profumo di dolce, di buono, che c’era nell’aria. Si, poi c’erano le giostre, gli aereoplani sui quali salire per cercare di vincere una battaglia, i compagni di classe coi quali sfidarsi sull’autoscontro, le avventure da raccontare… Anche da adolescente la fiera costituiva un importante appuntamento: vedevi tante persone in piazza, tante ragazze dai pomelli rossi alle quali sorridere. Di qualcuna poi ci si innamorava pure e la fiera, con la sua cornice di suoni, luci e rumore era l’ideale per provare la conquista. Non so cosa fosse, forse l’aria ma tanti di noi la vivevano così. Forse perché allora i soldi erano pochi e spesso bastavano tante piccole cose per sentirsi vivi. Un panino consumato in fretta, un giro sul tagadà aspettando il momento giusto, la sera alle finestre delle case che s’accendevano tutt’intorno alla piazza e qualche bacio rubato dietro all’acquedotto o sull’argine, dove i rumori del caos arrivavano lievi e la penombra t’abbracciava per attimi intensi. Pure questo ho vissuto e ricordo…

La fiera dell’adulto un po’ del suo fascino lo conserva. In maniera diversa lo acquista tra i banchi degli ambulanti. Tra gli affari che sembrano tali sino a che qualcuno, più sag- gio o più accorto di te ti fa sentire un pirla che si è lasciato abbindolare da qualcosa di nuovo e di diverso. Tra quelle calze acquistate a 50 centesimi al paio che quando le lavi diventano quelle di Big Jim e non te ne fai una ragione. Tra quelle automobili che sai di non poter acquistare e sono tutte lì, le puoi toccare e sognare. Tra tutti quei volti che magari vedi una volta all’anno, nel caos, e puoi salutare come se la fiera prima fosse stata ieri. In una fetta di cotechino con le lenticchie che – dimenticando la dieta – in una sera ti concedi con un buon bicchier di vino perché è bello farlo…

La fiera dell’anziano la guardo, quando giro in solitaria tra i banchi e mi fermo ad osservare. Tante nonne e nonni che portano i n poti sulle giostre, tanti bimbi che hanno – credo – quello stesso entusiasmo che avevo io trent’anni fa. E’ nella loro felicità la felicità stessa dei nonni e delle nonne che del caos, credo, ne farebbero volentieri a meno. E poi c’è sempre quello che ti racconta che ai suoi tempi c’erano cose più belle, banchi più interessanti, mostre più importanti. E’ la sindrome dei bei tempi, che colpisce chi supera i 40 e dalla quale poi non si guarisce più. C’è quella che compra un ventaglio per dire ‘io c’ero, e l’ho comprato lì’. Quello che gira con i pensieri perché quelli, anche se si edulcolorano un poco, non li riesci a cancellare del tutto.

La fiera non ha età. O meglio, ne ha una per ogni sguardo che la coglie. E’ questa la magia che va avanti da sempre, l’arcano di un appuntamento che tutti viviamo. Anche chi lo denigra. Perché poi in fondo tutti ci siamo passati e ci siamo. Fosse anche e solo per ripensare a quei grandi trattori, a due rossi pomelli o ad un paio di calze che conserverai, a futura memoria, solo per le bambole…

Nazzareno Condina

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