‘Murder most foul’ la recensione del Bluesman

Il Profeta Becchino, Kennedy e il Carogna Virus

Ci si potrebbe chiedere come mai proprio in questo terribile presente che dobbiamo fronteggiare e dopo ben otto anni di silenzio discografico, Bob Dylan (poeta ed ebreo errante quale in effetti è ,chiamndosi in realtà Robert Zimmerman mentre il cognome Dylan è in omaggio del poeta Dylan Thomas che consiglio e prose- guendo da decenni un infinito tour che non prevede scadenza) abbia rilasciato una composizione solitaria ed anomala che, tenuta nel cassetto per un tempo imprecisato, assume ora un valore di amara invettiva e di profezia.

Coincidenza non direi. Come sempre inafferrabile e misterioso, ha pubblicato nella notte tra il 26 e 27 Marzo il brano ‘Murder most foul’ (L’omicidio più disgustoso) citazione, tra le innumerevoli presenti, dall’Amleto shakespeariano. Non si può considerare un caso che l’abbia fatto ora che siamo attaccati da un nemico invisibile e vigliacco, alla cui spietatezza non si può chiedere armistizio o intavolare trattative. Il brano in questione già musicalmente si mostra insolito e piuttosto atipico: la chitarra è abolita, la ritmica assente o in retrovia e la lunga dissertazione (17 minuti , suo record personale ) è sostenuta unicamente da un sommesso pianoforte e dall’esile contrappunto degli archi. La solitamente gracchiante inflessione dylaniana è quì dolente e assorta, meno ambigua e impenetrabile, non cambia mai registro nell’enumerare episodi tragici e iconici personaggi americani; elencando canzoni, eventi e films che inquadrano i vari periodi di un secolo, quello scorso, che anche se definito breve, non è stato propriamente tranquillo e spensiaerato.

E non sembra neanche nutrire fiducia in questo presente. L’incipit scatenante è lo l’assassinio del presidente John Kennedy a Dallas il 22 Novembre 1963. Trauma mai rimosso, rappresentato dalla fatidica domanda: “Dov’eri tu quando è successo?” Più difficile rispondere a quella su chi fosse il colpevole, questione tutt’oggi non risolta. Lo stesso Dylan, ventunenne, prese la macchina e si recò sul posto dell’omicidio come per rendersi conto personalmente. Ma le ragioni, seppur mai realmente trovate, non possono che portare a soldi grondanti sangue, per poter eleggere indegni politicanti, complici di criminali come loro. La vicenda Kennedy assume il valore di peccato originale americano e il presidente assassinato quello di agnello sacrificale. Mick Jagger in “Simpathy for the devil” chiosa con “Chi ha ucciso i Kennedy? Siamo stati voi ed io”.

Cioè noi. E la faccenda, come si sa, non finì lì. Con quei proiettili morì il sogno della “nuova frontiera” e attraverso la lunga serie di rievocazioni storiche e musicali, Dylan esalta e nello stesso tempo decreta la fine dell’epoca dell’illusione. Già si avvertiva che l’utopica stagione del cambiamento era un abbaglio. Nonostante l’eclatante conversione al cristianesimo avvenuta quarant’anni fa, Dylan non escluderebbe ora l’inizio dell’era dell’anticristo. Diceva quel super-reazionario di Joseph de Maistre: “Se non ci fosse male morale sulla terra, non ci sarebbe male fisico.

Ogni dolore è un supplizio imposto per qualche colpa attuale o originale”. Ci troviamo a parlare di un delitto infame di 60 anni fa, con l’attualtà di restare imprigionati a causa di un killer di inquietante origine. La Pasqua vissuta non come resurrezione ma come clausura ed alienazione. E quando sarà finita questa macabra roulette, che cosa ci avrà fatto capire? Qualcosa in qualcuno di noi sarà cambiato? Chi spa- droneggia sugli altri avrà visto la propria debolezza? Montaigne diceva che non sono molti quelli che imparano dai propri errori. Sono sempre troppo pochi. Ciononostante il vecchio Bob (quasi ottanta primavere) ci impartisce la sua benedizione, via internet of course “Fate attenzione, cercate di stare bene e che Dio vi accompagni”. E così sia.

Dario ‘Bluesman’ Gozzi

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