Fantaflisi: nonno Leo si racconta

“Io? Io se devo allenarmi, sono un tipo molto fiacco”. Tutto ti aspetteresti ma non certo di attribuire una ammissione del genere a Leonardo Flisi, capace di centrare traguardi provinciali, regionali e nazionali a ripetizione nel campo dell’atletica leggera e nel settore lanci in particolare, senza con questo dimenticare i grandi punteggi ottenuti nella corsa e nei salti. Un atleta eccellente, che diventa eccezionale quando scopri il suo anno di nascita: classe 1939.

E se Leonardo Flisi non vi dice abbastanza, allora prendete per buono il suo soprannome: Nonno Leo. Da Cogozzo (Viadana) con furore dentro il racconto di un’esistenza straordinaria. Non è un romanzo lineare, quello di Nonno Leo, è una “meravigliosa confusione” di aneddoti, come si conviene ai geni della narrazione.

“Da dove cominciamo? Dal record provinciale mantovano nel decathlon, detenuto per anni e frantumato con 600 punti di margine: erano le gare organizzate a Saronno il 15 e il 16 agosto 1962. La data la ricordo benissimo: avevo appena finito i 1500 metri e non sono nemmeno rimasto alla premiazione, perché dovevo tornare a casa, nella mia Viadana. Sono andato a manetta con la mia Fiat 1100, con sorpassi pazzeschi, manco fossi in Formula 1. A Viadana, alla “Rotonda”, quella sera c’era Johnny Dorelli e io dovevo fare il cameriere. Alle 18 sono partito da Saronno, alle 21 ero già col mio farfallino, pronto per servire ai tavoli e godermi il grande Dorelli in prima fila”.

Come partenza non c’è male. “E quel record l’ho fatto senza allenamento, perché mi hanno avvisato soltanto una settimana prima. Non come adesso, che si preparano le gare spesso per un anno intero… Sono altri tempi. E a tal proposito ho un altro ricordo indelebile: gara a Mantova, provinciale questa volta, io ancora nel fiore degli anni. Facevo i turni in fabbrica, ad un macchinario che andava maneggiato da due persone: quel giorno lavoravo dalle 14 alle 22, il collega che deve darmi il cambio non arriva e mi chiedono se voglio fare anche il turno successivo, dalle 22 alle 6 di mattino, altrimenti il macchinario va spento e sono guai per l’azienda. Dico di sì, perché la paga doppia non mi schifo. Dopo sedici ore in fabbrica, prendo il mio Ciao e filo fino a Mantova al campo scuole, dove è fissata la gara. All’altezza del Villaggio Eremo rimango senza miscela. Quei 5 chilometri finali me li faccio pedalando col Ciao. Arrivo a ridosso della gara e l’allenatore mi fa: “Dai Flisi, devi scaldarti”. Gli rispondo: “Non preoccuparti che mi sono già scaldato a sufficienza”. Gareggio e salto 12 metri nel triplo, risultato strepitoso. Io sono così, un tipo istintivo e do il meglio quando non mi preparo troppo”.

Il mondo dell’atletica leggera Master incontra Leonardo (o viceversa) grazie ad Adalberto Senna, giornalista mantovano che lo instrada a questa seconda vita sportiva. “Ho iniziato col salto triplo, poi sono andato oltre. Ma ricordo volentieri anche una cena alla Libertas, società di atletica leggera di Mantova, qualche anno fa: volevano che gareggiassi per loro nel lancio del giavellotto. Lo faccio ma il giorno della gara serve qualcuno che faccia presenza anche nel lancio del peso. Mandano me e vinco, così, di botto. “Hai un bello stile di lancio – mi fa il secondo classificato – quante volte ti alleni a settimana per perfezionarlo?”. Io gli rispondo molto sinceramente: “Non te lo dico o ti sentiresti preso in giro”. Erano cinquant’anni che non lanciavo il peso…”.

Tra gli scatti ricordo pure quello con Carmelo Rado. “Un mito del lancio del disco: adesso ha 87 anni ma tiene botta. Nel 1960 ha fatto le Olimpiadi di Roma, oggi lancia ancora a 10 metri il peso: posso garantirvi che alla sua età è rimasto un fenomeno. Ma nel suo caso siamo di fronte ad un atleta eccezionale, che non ha mai perso l’amore per lo sport. Io invece sono sempre stato un atleta nella media, che però si è sempre divertito e continuerà a farlo”.

C’è un mito nel pantheon di Flisi che supera gli altri? “Dato che parliamo di atletica leggera, dico Pietro Mennea, volontà ferrea scolpita nei suoi muscoli e nei suoi risultati. Un esempio anche per noi Master, perché ci suggerisce di non mollare mai. Poi come calciatori ho amato e amo Pelè, Maradona e Messi: vabbè sono scontato, ma fa lo stesso”.

A proposito di calcio, per chi tifa Nonno Leo? “Nessuno, mi risulta non sia obbligatorio… Il punto è che di solito un bimbo eredita il tifo dal padre, ma il mio babbo è morto sotto i bombardamenti nel 1945. Così sono cresciuto con un’altra passione, quella per la musica, che mi ha instillato mia madre, maestra di pianoforte e cantante. Il suo piano l’ho regalato qualche anno fa alla scuola di musica di Viadana: non volevo venderlo, perché non sono un tipo venale, e so che lì ne fanno buon uso”.

Parliamo di musica, parliamo di Sarabanda… “Ci sono stato due volte, alla trasmissione di Italia Uno. E ci tornerò, quando si potrà, stavolta andrò a “Tu si que vales”. Voglio portare le figure di Adriano Celentano in “24mila baci”: sono molleggiato anch’io”.

E pure videomaker. “Gli sketch un po’ mi mancano, magari li riprendo, appena posso. L’ultimo ballo nella fontana di piazza Manzoni a Viadana, la scorsa estate, ha fatto migliaia di visualizzazioni. Non si direbbe, ma tengo parecchio ai dati dei social”.

Torniamo allo sport. “Devo dire che adesso è quasi più semplice rispetto a quando ero giovane, perché c’è un po’ meno concorrenza: quando hai 81 anni, se non sei al 100%, il dottore non firma l’idoneità sportiva, e questo dirada il numero di avversari. Chi rimane in pista, però, è davvero un fenomeno: i miei figli, quando mi seguono alle gare, restano sempre stupiti: l’ultima volta a Milano un “ragazzo” di 90 anni ha completato i 5.000 metri, senza fare una piega. Ci ha messo mezz’ora, ma a quell’età sfido chiunque a farlo… E dire che qualcuno si stupisce quando, in vacanza in Sicilia al villaggio turistico, due volte al giorno mi fermo per fare palestra. Ma io sono solo un principiante. Più che faticare, mi diverto”.

Un messaggio ai giovani d’oggi? “Ritrovare la fame: nell’atletica leggera vedo un buon movimento. Nel calcio e nella pallavolo femminile, ad esempio, vedo invece tanti giocatori o giocatrici stranieri e straniere. Del resto, più un popolo sta relativamente bene, più rischia di battere la fiacca e lo sport è una delle prime cartine di tornasole. Mi fa molto strano, ad esempio, vedere atleti che da giovani non fanno nulla e poi, all’improvviso, dopo i 40-50 anni fanno sport. Per carità, liberissimi di farlo, ma mi sembra un po’ una contraddizione. Personalmente non ho mai smesso di stare in movimento”.

Obiettivi del 2021? “Intanto esorcizzare il Covid, cioè poter tornare a gareggiare. A febbraio ci sono gli Italiani indoor ad Ancona, e in seguito sono in calendario i Regionali assoluti e di società, un trofeo a tappe e gli Assoluti a luglio. Ma prima dobbiamo battere questa maledetta pandemia”.

Al campo da bocce (perché nel curriculum di Nonno Leo non mancano nemmeno le bocce) Flisi è quasi una celebrità. “Ma davvero io sono ‘an fiacòn’, uno che non ama allenarsi e non ha nemmeno tanta voglia di scaldarsi. Però non invecchio mai: ho visto foto e video di dieci anni fa e sono ancora uguale. Lo dico io, me lo dicono gli altri. Il segreto? Mica lo vengo a dire a voi”.

Nodo al fazzoletto: appena finisce questo delirio da Covid, ci ritroviamo ‘in presenza’ per un’altra intervista e per chiedere di nuovo conto del tuo segreto. “Ti aspetto in giardino, a bordo piscina, con salame e lambrusco: di storie da raccontare ne ho finché vuoi”.

Giovanni Gardani (Foto: Michele Flisi)

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