Video: quattro casalesi nel deserto tunisino
Mixer video di Angelo “ANGELDUST” Vallari
500 km nel deserto. E tanti ricordi da portarsi dentro insieme alla consapevolezza di aver affrontato un lungo viaggio davvero speciale. Quattro casalaschi, 500 km percorsi dal 24 ottobre al 3 novembre nel deserto tunisino, seguiti dai PickUp dei beduini. Andrea Baratta, Jacopo Fochi, Angelo Vallari e Raffaele Bacchi, l’unico con una qualche esperienza di sabbia e dune (ha affrontato in passato la Parigi Dakar). Per gli altri invece un battesimo del fuoco. Le moto: tre KTM (250, 350 e 450 e un Beta 530 da Enduro. E’ Andrea Baratta a raccontarci l’avventura. Per lui è stata la prima volta anche se, a dirla tutta, la moto ce l’ha nel DNA. Il padre, Manrico Baratta, a 63 anni la Tunisia se l‘è fatta in moto, una KTM 1190, in solitaria. E di km ne ha fatti 1500. Avremo modo in futuro di raccontare anche questa storia: “Siamo partiti da Douz, la porta del deserto. C’è voluto poco tempo per capire come dovevamo procedere per non affondare nella sabbia. E’ la prima cosa fondamentale che impari perché ti possono dare indicazioni, ma poi devi capire tu stesso come procedere dove non esistono strade, solo sabbia e dune. 7 ore al giorno di moto, intervallati da brevi soste di 30 minuti. Alle 16 ci dovevamo fermare perché nel deserto il buio scende in fretta, alle 17.30 già non si vede più niente”.
Pernottamento in tenda. La notte del deserto l’hanno sentita tutta addosso: “Si passa dai 32 gradi del giorno ai 10 della notte. Alla mattina smontavamo le tende e ripartivamo. Tantissimi km senza incontrare nessuno, qualche rovina di antiche costruzioni nella sabbia. Siamo riusciti a lavarci un paio di volte, al terzo giorno in una piccola sorgente d’acqua calda e l’ultimo giorno in una pozza termale e sul percorso abbiamo incontrato solo due chioschi. In uno di questi, il Café du Desert, abbiamo lasciato la maglia e lo stemma del motoclub Bergamonti”.
Non erano soli, a seguirli i beduini, guide che vivono grazie proprio a questo tipo di ‘turismo avventuroso’. Ma i beduini, a parte il trasporto, facevano viaggio a se. Alla sera si accampavano ad una 50ina di metri di distanza ed intervenivano solo se interpellati. Con qualche bella eccezione: “Alla sera, sotto la sabbia, ci cuocevano il pane. Scavavano una buca, accumulavano i rovi del deserto, davano loro fuoco e poi mettevano l’impasto sulle braci ricoprendolo di sabbia. Il pane che ne usciva fuori era buonissimo. Andava consumato in fretta però perché se non mangiato subito poi diventa duro come un sasso”.
Acqua e carburante erano trasportati proprio dalle speciali guide. Angeli custodi sempre discreti, anche se problemi non ce ne sono stati: “Se si eccettua una foratura e qualche sprofondamento nella sabbia. Le moto hanno retto bene, ed anche noi”. 115 km la tappa più lunga, Il ritorno nel punto in cui si era partiti.
E’ stata un’esperienza fantastica, unica, che consiglio a tutti gli appassionati di moto. Un viaggio che va fatto almeno una volta nella vita”.
Per i quattro amici però c’è già l’intenzione di ripetere l’esperienza e di aggiungerne altre. Perchè nel deserto, per chi ama la due ruote, c’è l’estrema sintesi del binomio uomo – motore. C’è l’avventura e la sensazione che alla fine, si è soli con il proprio mezzo nel profondo silenzio rotto solo dal rombo della propria moto.
Chi ci va una volta è difficile non ne esca affascinato. Infiniti spazi, infiniti orizzonti, infinita sabbia: l’infinito da affrontare tutto. Meglio ancora se in sella alla propria compagna a due ruote. Il compimento di un sogno.
Nazzareno Condina (Foto: Andrea Baratta e Franco Turato)