GALLERY – Islanda, la terra dei vulcani e dell’orizzonte

1500 km, in una settimana. A rincorrere il tempo, che in Islanda corre sempre un po’ più veloce di te anche quando sembra immoto, sospeso nei silenzi degli infiniti orizzonti. E’ difficile descrivere una terra intensa, difficile, disegnata dai venti, dai vulcani e dai ghiacciai.

Una terra in cui nulla è semplice a partire dall’affrontare la sensazione, quasi perenne, di essere soli, pulviscolo al confronto dell’immensa energia della natura. Nascono fiori sui vulcani, si inerpicano le pecore, vere e solitarie protagoniste di ogni anfratto, da nord a sud, da est a ovest. 1500 chilometri.

LE PECORE – Ho imparato osservandole, di quanto sia complesso il loro vivere. Chilometri di pascolo, nessun pastore, nessun cane. Disperse, a gruppi di tre, quattro o anche sole. Arrampicate come gli stambecchi sino alle pareti più scoscese delle montagne. La pecora cerca lo spazio, lo conquista laddove l’uomo non c’è, per infinite distanze. Ho eliminato l’abitudine di pensarle in gregge, al pascolo, a proteggersi dai lupi. Qui vagano, vivono il ritmo delle giornate che, vicino al polo e a luglio, non ha mai notte, se non qualche ora di penombra. Gli islandesi le definiscono la loro ricchezza. E lo sono sul serio. Non per il latte, non tanto per la carne quanto per la lana. Soprattutto a nord e ad est può capitare di non incontrare nessuno per decine di chilometri. Nessuno tranne loro. Non sono, al di fuori della costrizione a cui siamo abituati, animali sociali. Tendono a separarsi, ad isolarsi. Una grande e due piccole, sino a che le piccole non diventano grandi e danno il via ad un altro gruppo. Le trovi addormentate, ai bordi di sterrate infinite di sassi e terra vulcanica, o alla ricerca di erba. Incuranti del folle vento, della pioggia e del freddo. Anime erranti, come la tua, in cerca di uno spazio che qui non è difficile da trovare. In moto, in compagnia degli uccelli.

GLI UCCELLI – Gabbiani, falchi, acquile. Rondoni, aironi, cigni selvatici, balestrucci e pettirossi. Folaghe, tantissime folaghe, poi l’uccello simbolo dell’islanda, il pulcinella di mare (i puffins come li chiamano gli islandesi), abilissimo pescatore al di là del buffo aspetto. Beccaccini, strolaghe e gabbianelli, smerghi, svassi, beccacce e storni. Il mugnaiaccio, anch’esso re delle scogliere. Tantissimi, in ogni luogo. Dopo il primo giorno impari che il silenzio non è mai silenzio pieno proprio per la loro presenza. I richiami scandiscono il tempo. Una delle immagini più belle che mi riporto a casa è il volo delle gabbianelle e dei mugnaiacci su spiagge vuote. Ho visto anche – li avevo visti solo sui libri – i marangoni dal ciuffo. L’acqua la sfiorano appena, e tornano sovente col pesce nel becco.

I CAVALLI – A sud vivono allo stato brado, o semibrado. Corrono liberi dove la terra si fa piana, puledri con cavalle e piccoli. Ti si avvicinano, si lasciano guardare nella loro bellezza. Sono anch’essi sempre in movimento, il loro spazio si estende sovente per chilometri.

LE CASE – Disperse, tante quelle abbandonate. Perché i giovani preferiscono le città alla durezza della vita all’interno. A nord trovi bellissime case lasciate a se stesse. Gli islandesi raccontano che per vivere a nord, dove le strade spesso son sterrate e per trovare uno spaccio, una pompa di benzina o un negozio devi percorrere anche cento chilometri nel nulla, in un clima mai mite ci vuole forza. Quella di derivazione vichinga, di quei navigatori divenuti poi stanziali o dei danesi, primi colonizzatori dell’isola. Il turismo – non un turismo di massa – qualche cosa ha mosso, ma la vita qui è durissima. Sugli altipiani di roccia vulcanica il tempo cambia in fretta, e spesso in peggio. Le città sono piccoli centri in cui si addensa la vita. La parte più brutta per chi si mette in viaggio. Quella più lieve per chi vive qui.

L’OCEANO – Un fascino assoluto è quello delle acque che lambiscono le terre. Tra le insenature del nord e dell’ovest, nelle ripide pareti che calano a picco sul mare dell’est, nel porto di Hofn dove il tempo si è fermato, nei ghiacci che si gettano a mare del sud la magia dei mari ghiacciati islandesi è davvero unica. Anche qui chilometri senza tracce umane, soli nel volo degli uccelli. Sulle spiagge nere centinaia di metri di onde ti accompagnano. Questa terra è una terra difficile. Il più alto tasso di suicidi d’Europa perché la solitudine è un compagno di viaggio che ti stringe, in una morsa, i pensieri. Ti chiama, come il canto di sirena e devi essere forte per non soccombere. O più semplicemente, se sei un viaggiatore, accettarlo come un passaggio. Ti aggrappi a tutto. Ai piccoli fiori che spuntano dal niente, al volo radente degli uccelli, alle pecore che ti osservano, anche qui, e ti studiano prima di volgere all’altrove. Non c’è – almeno per me non c’è stato – viaggio più profondo di questo. Dicono che su queste spiagge si fermi lo spirito del tempo.

I VULCANI – L’immensa forza della natura. Ci cammini accanto, ovunque volgi lo sguardo ti trovi a fare i conti con colate laviche antiche o più recenti, nei vecchi crateri si appoggiano laghi d’un azzurro intenso. Ero venuto qui anche per i Geyser. Al ritorno a casa ti accorgi che sono la manifestazione più ‘folcloristica’ del tutto. L’immenso fascino è nei piccoli anfratti che sputano vapori di zolfo, nelle piane in cui l’aria – non fosse per il vento che ne ristabilisce gli equilibri – si fa pesante. Nelle pietre nere e porose, nelle dune create dalla lava riconquistate dai muschi e dalla flora che combatte. Puoi camminare sulla soglia dei crateri, sentire forte l’instabilità che poi è la stessa del vivere, posare le mani a terra per toccarne il centro. Anche qui la natura è nuda, è tu con lei. Ogni volta che un vulcano islandese erutta – ci spiegava un giovane islandese – qualcosa nel mondo muta.

IL TEMPO – Variabile che si incunea nelle altre. Tra nuvole velocissime, venti freddi ed incessanti, si passa dal sole alla pioggia in tre minuti appena. Neppure il modo di abituarti. La temperatura cala di 8/10 gradi e ti ritrovi immerso nei vapori acquei. Perché – e non di rado – qui il cielo tocca davvero terra, le nuvole si posano, scendono dalle montagne verso il mare. Sugli altipiani ti abbracciano.

LA STORIA – Le saghe dei vichinghi sono – per chi ama la storia – davvero affascinanti. Sono le storie di comandanti impavidi e di guerre, di navigazione e di conquista, di elmi e di asce impugnate per la conquista della supremazia. Poco distante dalla capitale c’è uno splendido museo dedicato alle saghe islandesi. E’ anche la storia dei monaci, dei coloni danesi che hanno provato ad immaginare di poter domare la terra. Non ci sono riusciti perché qui la terra è immensamente più forte dell’uomo. Immensamente più dura e non fa sconti. Esistono terre coltivate ma non sono che una minima parte.

I GHIACCIAI – Immensi, i più grandi d’Europa. Che portano i segni del surriscaldamento del pianeta. 27 km in meno negli ultimi anni, da quello che ci hanno raccontato. Un segno anche questo che il mondo che lasciamo è peggio di quel che abbiam trovato.

LA STRADA – Tanta, a nord, tranne la ring road, quasi tutta sterrata. Da percorrere con attenzione, in assoluta lentezza. Ma questo è un bene: riesci a cogliere i particolari, ti fermi in mezzo alla strada senza problemi, magari solo per una foto. L’animo si nutre di tante immagini, cogli la vita nelle pietre, nella terra scavata, tra le correnti delle acque. Mi sono imbattuto in un gruppo di folaghe, ed ho visto falchi e un’acquila volare radente poco più su della mia testa. Gruppi di cavalli in solitaria transumanza. Pietre poste a colonne a segnare il passo. Sono arrivato dove le due faglie si toccano, camminato al centro del pianeta. Perché questo – non ne ho dubbi – è il centro del pianeta. Uno splendido viaggio lontano da tutti e da tutto, vicini solo a se stessi.

IL RESTO – Avrei ancora tanto da raccontare, ma mi fermo qui. Con me porto il ricordo d’un isola straordinariamente unica. Con me porto i resti del tempo posato e di quello raccolto. Se si parte a cuore aperto e con la voglia di conoscere si torna sicuramente con qualcosa in più da portarsi dentro. Ho lasciato un pezzo di cuore lassù. Invero, altre parti ne ho lasciate in ogni dove, a volte in maniera leggera ed altre in modo rovinoso. Ma in Islanda, nella terra dei ghiacci, parafrasando ed invertendo il senso delle parole di Lee Master, non ho dispiaceri perché quei pensieri, quei fiori e quella parte di cuore non avrei potuto seminarla in terreno migliore.

N.C. (testo e foto)

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